Illecito permanente in materia ambientale

La vicenda trae origine da un sopralluogo effettuato dalla Polizia, durante il quale è stata contestata l’illegittima movimentazione di terra, perché effettuata senza le necessarie autorizzazioni ai fini idreogologici. Dapprima era stata notificato il verbale di contestazione, poi, a seguito della presentazione di scritti difensivi, la Comunità aveva provveduto con i suoi accertamenti, rideterminando infine l’importo. Seguiva la notifica della ordinanza ingiunzione e successivamente l’Ente metteva a ruolo l’importo della sanzione. Il debitore impugnava la cartella, in quanto a suo dire, l’atto prodromico (l’ordinanza ingiunzione) non era stato correttamente notificato. La Comunità provvedeva allora ad annullare l’ordinanza, ed a procedere con lo sgravio della cartella, notificando una nuova ordinanza ingiunzione.  A questo punto il debitore spiegava opposizione alla (nuova) ordinanza ingiunzione, sollevando l’eccezione del decorso del termine prescrizionale quinquennale ex art. 28 L. 689/81. Vertendosi però in materia ambientale, e trattandosi di illeciti permanenti, la giurisprudenza oramai costante e consolidata (Cass. civ. sez. II, 9.1.2007, n. 143; Cass. civ. sez. II, 30.7.2007, n. 16861, Cass. civ. sez. I, 29.9.2006, n. 21190) ha chiarito che in tale ambito, quando viene accertata un’opera in difformità di autorizzazione, ai fini del decorrere del termine prescrizionale, è necessario distinguere fra il momento perfezionativo (rappresentato dall’inizio dello scavo in violazione delle prescrizioni autorizzative) e quello consumativo (perdurante fino a quando si protrae la condotta illecita del trasgressore) e con riferimento al carattere misto (commissivo – omissivo) della condotta. L’Organo nomofilattico, in più e distinte occasioni, ha escluso che il termine quinquennale della prescrizione (così come invocato dal ricorrente) non inizi a decorrere finché permane la condotta illecita, ovvero sin tanto che lo stato dei luoghi non sia stato ripristinato.
In materia ambientale vi è quindi una chiara deroga alle norme generali, ed a maggior ragione nel caso di specie, in quanto il ricorrente non aveva ancora provveduto a ripristinare la situazione ex ante.
Inoltre la giurisprudenza costante (Cass. civ. sez. I, 27.6.2006, n. 14830) ha chiarito come si deve modulare il decorso del termine di prescrizione anche in caso di connessione obiettiva dell’illecito amministrativo con un reato ai sensi dell’art. 24 della L. 689/81: nell’ipotesi di chiusura del procedimento penale per estinzione del reato a norma dell’ultimo comma del citato art. 24, cessa la competenza del giudice penale e questi deve trasmettere gli atti alla P.A. competente all’applicazione delle sanzioni; conseguentemente, in base al principio generale sancito dall’art. 2935 c.c. secondo cui la prescrizione non decorre se il diritto non può essere fatto valere, la prescrizione inizia a decorrere dal momento della ricezione degli atti da parte dell’autorità amministrativa. Nel caso affrontato, la Polizia aveva provveduto a sequestrare l’area interessata dai lavori di scavo; il suddetto sequestro era stato convalidato. Ed ancora: nel 2008 il Corpo Forestale dello Stato aveva notificato al ricorrente i verbali di contestazione di illecito amministrativo. A seguito della richiesta economica il ricorrente aveva inteso presentare scritti difensivi. Per valutare adeguatamente le richieste del ricorrente la Comunità aveva richiesto allora una relazione ad un tecnico. Il Corpo Forestale aveva dato il suo parere a seguito della “Richiesta e chiarimenti” da parte della Comunità. Perfezionato l’iter, resosi necessario per l’esplicita richiesta di riesame da parte del ricorrente la Comunità con determina del YY/YY/2011 aveva rideterminato l’originario importo ingiunto, riducendola ad € XXX, comunicandolo al ricorrente. Da questo momento quindi, ed a seguito dell’esplicita richiesta del ricorrente la Comunità aveva comunicato per la prima volta il nuovo importo (rideterminato) al trasgressore. Inviando una prima ordinanza-ingiunzione, ritualmente ricevuta dal ricorrente in data YY/YY/2013. Inviando infine e notificando una successiva ordinanza ingiunzione in data YY/YY/2014. Ad abundantiam, la circostanza assolutamente non trascurabile che, ad interrompere i termini prescrizionali, ci avesse pensato l’apertura del processo penale introitato nei confronti del ricorrente, ed il relativo sequestro dei luoghi. A seguito dell’eccezione promossa, il Giudice si era riservato, ed a scioglimento, il Tribunale di Arezzo ha emesso l’ordinanza con cui ha rigettato l’eccezione. “Preso atto della richiesta di dichiarazione della intervenuta prescrizione eccepita da parte ricorrente e contestata dalla controparte, sulla quale il sottoscritto Giudice si era riservato di decidere; dato atto che i fatti in relazione ai quali è stata emanata l’ordinanza ingiunzione impugnata sono relativi ad un’area soggetta a vincolo idreogeologico e paesaggistico e, pertanto, integrano la fattispecie di illecito a carattere permanente; dato atto altresì, che la norma di cui all’art. 28 della L. 689/81, che prevede la prescrizione quinquennale, si applica a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative e, quindi, anche gli illeciti in materia edilizia, urbanistica e paesaggistica puniti con sanzione pecuniaria; che, per calcolare se è intervenuta o meno la prescrizione, è necessario individuare il momento in cui la stessa inizia a decorrere; dato atto che, trattandosi di illecito a carattere permanente, la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza, cessazione che avviene o con l’irrogazione della sanzione o con il conseguimento delle autorizzazioni od il ripristino dei luoghi (cfr. C.d.S. Ad. Gen.le 11.4.2002, n. 4; C.d.S. Sez. VI, 12.5.2003, n. 2653; C.d.S. Sez. IV, 1464/2009, sez. VI, n. 1255/2007; C.d.S., sez. V, n. 4420/2006; C.d.S., sez. IV, n. 6632/2003). Che quindi, per le sanzioni applicabili agli illeciti permanenti, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della L. 689/81, inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza e la permanenza cessa e il termine di prescrizione comincia a decorrere o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria, o con il conseguimento dell’autorizzazione (TAR Veneto, sez. II, sent. 22.4.11, n. 678). Che, con la stessa sentenza è stabilito che, vertendosi in tema di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza la necessità di motivazione in ordine al ritardo nell’esercizio del potere (cfr. C.D.S, sez. IV, 16.4.2010, n. 2160; C.d.S., sez. V, 13.7.2006, n. 4420; C.d.S. sez. IV, 2.6.2000, n. 3184). Che l’irrogazione della sanzione si concretizza con l’emanazione della ordinanza ingiunzione, quale atto conclusivo di un procedimento che si completa, appunto, con l’emissione dell’ordinanza ingiunzione stessa. Che il provvedimento di sequestro disposto nell’agosto 2008 non appare idoneo ad eliminare la permanenza dell’illecito se non seguito dalla eliminazione del danno, cosa questa che non risulta essere avvenuta nel caso di specie, né dal ricorso, né dalla documentazione. Che, diversamente opinando, si arriverebbe ad ipotizzare la cessazione della permanenza a seguito della adozione di un provvedimento diretto ad impedire danni ulteriori, ove fosse consentito invocare la prescrizione senza aver provveduto alla riparazione del danno (per i reati ambientali, ved. Cass. Pen. Sez. I, n. 29855/2006 per cui “sarebbe invero singolare che il sequestro delle aree, diretto ad impedire i danni ulteriori e ad assicurare gli interventi di cui all’art. 17 del decreto Ronchi e 242 del nuovo codice ambientale, possa determinare la cessazione della permanenza e cioè della antigiuridicità di una condotta che il responsabile della stessa è tenuto a denunciare ed a riparare evitando pure il sequestro se si mette immediatamente a disposizione e predispone gli interventi riparatori”); ricordato che;
– il verbale di contestazione XXX è stato redatto in data YY/YY/2008. Dallo stesso risulta che il reato che è stato sanzionato è quello di movimentazione terra senza autorizzazione ai fini idreogeologici sulla base del Reg. Reg.le 7/2002, art. 58;
– lo stesso verbale è stato notificato in data YY/YY/2008;
– in data YY/YY/2008 il ricorrente presentava scritti difensivi con ricorso contro l’ammontare della sanzione;
– con determina dirigenziale n. YY del 2011 la Comunità respingeva il ricorso e rideterminava la sanzione in € XXX a seguito della riduzione dell’area interessata dall’illecito, stabilendo “di dare opportuna comunicazione all’interessato”;
– tale determina fu comunicata all’interessato con raccomandata del YY/YY/2013;
– la comunicazione rimaneva senza esito per cui la Comunità metteva a ruolo l’importo della sanzione (cartella esattoriale notificata YY/YY/2013).
– Il ricorrente con atto di citazione impugnava la cartella esattoriale chiedendo fosse dichiarata l’indebita emissione del ruolo “senza aver preventivamente emesso e notificato l’ordinanza ingiunzione obbligatoriamente prevista dall’art. 18 della L. 689/81” ed eccependo l’illegittimità della cartella di pagamento “in quanto non è mai stata emessa dall’Ente l’ordinanza ingiunzione costituente titolo idoneo per fondare la successiva esecuzione forzata, in patente violazione dell’art. 18 della L. 689/81;
– infine in data YY/YY/2014 la Comunità emetteva provvedimento di discarico della cartella esattoriale ed in data YY/YY/2014 emetteva l’ordinanza ingiunzione oggi impugnata;
che quindi così come sostenuto dallo stesso ricorrente, l’unica ordinanza emessa dalla Comunità è quella del YY/YY/2014.
Ricordato che illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità (cfr. C.D.S., sez. VI, 2.6.2002, n. 3184). Dato atto che secondo la giurisprudenza, nel caso di illeciti permanenti, il dies a quo, per il calcolo della prescrizione coincide con il giorno in cui cessa la permanenza stessa e che l’interruzione della permanenza, per cause diverse dalla materiale cessazione della condotta, si verifica soltanto con la notifica dell’ordinanza ingiunzione, non rilevando la mera contestazione dell’illecito. Che dalle considerazioni tutte che precedono si ricava, dunque, che nel campo dell’illecito amministrativo – che, come quello in esame, integra un’ipotesi di illecito formale consistente nell’omessa richiesta della preventiva autorizzazione – la permanenza cessa (ed il termine quinquennale di prescrizione inizia a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. C.d.S., sez. VI, 12.5.2003, n. 2653; 30.10.2000, n. 5851; Ad. Generale 11.4.2002, n. 4 / Gab. e n. di selezione 2340/2001). Ritenuto che, non essendosi verificata fino al YY/YY/2014 alcuna della condizioni che avrebbero interrotto la permanenza dell’illecito come sopra indicate, necessiti fare riferimento alla sola ordinanza ingiunzione emessa il YY/YY/2014 per cui il termine di prescrizione scadrebbe il YY/YY/2019. Si respinge la richiesta di dichiarazione di intervenuta prescrizione”.

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Scarico e fossa settica non funzionante

L’impianto di scarico va sempre tenuto in ottimo stato di manutenzione. I rischi, in caso contrario, sono anche quelli di un procedimento penale per le molestie provocate ai vicini. A condizione che si sia superata la normale tollerabilità per l’altrui vista e olfatto e che a subìre il disturbo sia più di una persona. A dirlo è un’ordinanza della Cassazione. Non solo quindi il giudizio civile di risarcimento del danno, ma anche la pena dell’ammenda per il proprietario di un ristorante che non ha provveduto a tenere pulito lo scarico e la fossa settica: è questa la conclusione della Corte per chi non tiene un atteggiamento diligente e rispettoso delle regole di igiene pubblico. La nauseabonda fuoriuscita di liquami dalla fossa settica, conseguenza del non idoneo impianto di scarico del locale fa scattare il processo penale quando i liquidi maleodoranti, atti ad imbrattare l’area comune, molestano più di uno dei proprietari limitrofi. L’illecito penale contestato è quello di molestie ai danni delle persone che abitano e vivono nelle vicinanze del ristorante-pizzeria. Quando è evidente la situazione di assoluta invivibilità, non salvano neanche le periodiche rimozioni di fanghi affidati a una ditta privata. Il proprietario del locale, infatti, ha una responsabilità personale, in quanto la fuoriuscita dei liquami è dovuta ad una sua negligente, o nulla, manutenzione della fossa settica.

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Acque reflue industriali e attività artigianali o di servizi

Rientrano nel concetto di acque reflue industriali anche gli scarichi provenienti da attività artigianali o di servizi, attività e servizi ovviamente presenti in un significativo contesto urbano; così stabilisce la sentenza numero 8631, del TAR del Lazio.

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Consiglio di Stato su “asfalto”

Alla luce dei requisiti di carattere generale indicati dalla normativa di settore, il fresato d’asfalto, in linea di massima, non deve essere condotto e conferito in discarica come rifiuto speciale. Nondimeno detto sottoprodotto deve soddisfare specifiche condizioni, rappresentate essenzialmente dal fatto che il nuovo utilizzo del fresato in questione deve essere integrale, avvenire nel corso di un processo di produzione o di utilizzazione senza alcun trattamento diverso dalla normale pratica industriale; e solo in presenza di tali requisiti si può considerare il fresato un sottoprodotto; altrimenti deve essere classificato come un rifiuto speciale.

Di seguito, riporto le motivazioni addotte dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4978, del 6 ottobre 2014, Sezione terza.

DIRITTO

L’appello all’esame, come già fatto presente dalla Sezione in sede di delibazione sommaria resa nel giudizio cautelare, non appare meritevole di positivo apprezzamento. Oggetto di controversia è il provvedimento espulsivo assunto a carico di CISAF in ragione della ritenuta inattendibilità della sua offerta, nella quale non viene indicato l’onere economico legato al trasporto e al conferimento in discarica dei materiali di risulta proveniente dalla demolizione della esistente pavimentazione stradale, appunto, da rimuovere. Parte appellante ritiene che l’offerta non sia incongrua, potendosi fare a meno, nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto, dell’operazione di trasporto e conferimento in discarica (con esenzione dei relativi oneri economici),dal momento che il materiale derivante dalla demolizione del manto stradale può essere recuperato e riutilizzato nel processo di produzione del conglomerato bituminoso. Secondo l’impostazione difensiva, il materiale prodotto dalla demolizione stradale costituito dal c.d “fresato d’asfalto” va qualificato come sottoprodotto, come tale suscettibile di riutilizzo, e non come rifiuto, per il quale è necessario il conferimento alla discarica di materiali inquinanti: questa operazione di recupero e riutilizzo è stata prevista nel caso dell’offerta dell’appellante, il che giustificherebbe l’esposto risparmio di spesa, proprio per l’esenzione dai relativi oneri economici connessi al trasporto allo smaltimento in discarica di detto materiale. Così riassuntivamente esposta, quella relativa al c.d. “fresato d’asfalto” è la fondamentale questione giuridica su cui poggia la causa in trattazione e che, in via prioritariamente logica, occorre necessariamente dirimere ai fini della verifica della legittimità o meno del provvedimento espulsivo oggetto di contestazione giudiziale. Ritiene il Collegio che l’assunto difensivo posto a fondamento dell’appello, volto a “difendere” il riutilizzo del materiale derivante dalla demolizione del manto stradale nella produzione del conglomerato bituminoso, quale elemento giustificativo del minor onere di spesa, come desumibile dall’offerta e fatto oggetto di giustificazione in sede di verifica dell’anomalia, non sia condivisibile. Questa Sezione ha avuto modo di occuparsi della problematica costituita dalla natura del fresato d’asfalto, se vada qualificato come rifiuto, secondo la classificazione di cui al D.M. 5/2/1998 e l’inserimento nel codice europeo dei rifiuti, oppure debba essere considerato un sottoprodotto, idoneo, come tale, ad essere riutilizzato, esprimendo l’avviso che in concreto il fresato d’asfalto può essere annoverato come un sottoprodotto purché in presenza di specifiche condizioni tecniche (Cons. Stato Sez. IV 21 maggio 2013 n.4151). Così questa Sezione – e il Collegio aderisce pienamente a quanto in precedenza statuito con il citato decisum – ha in primo luogo precisato che deve trattarsi di un prodotto di cui il detentore non deve disfarsi e con le caratteristiche che ne permettono il reimpiego, come previsto dall’art.184 bis del Codice dell’Ambiente (d.lgs. n. 152/2006) secondo cui :

“E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art.183 comma 1 lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfi tutte le seguenti condizioni:

a)  la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)  è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)  la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)  l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

Alla luce dei requisiti di carattere generale testé indicati dalla normativa di settore, il fresato d’asfalto, in linea di massima, non deve essere condotto e conferito in discarica come rifiuto speciale. Nondimeno detto sottoprodotto deve soddisfare, come già detto, specifiche condizioni, rappresentate essenzialmente dal fatto che il nuovo utilizzo del fresato in questione deve essere integrale, avvenire nel corso di un processo di produzione o di utilizzazione senza alcun trattamento diverso dalla normale pratica industriale; e solo in presenza di tali requisiti si può considerare il fresato un sottoprodotto; altrimenti deve essere classificato come un rifiuto speciale. Orbene, con riferimento alle “condizioni tecniche” testé esposte, ai fini del riutilizzo immediato del prodotto occorre andare a verificare in concreto la sussistenza delle predette condizioni; e a tali fini occorre rilevare come sia la stessa Società ad indicare una serie di “ passaggi “ della catena produttiva che dovrebbe condurre al riuso del fresato nel conglomerato bituminoso, passaggi che, però, nella specie non risultano essere stati osservati. Invero, CISAF ha indicato la società CFG quale soggetto preposto al prelievo, trasporto e riutilizzo del fresato, ma detta Società non risulta essere in possesso del titolo abilitativo a trattare tale materiale; lo stesso dicasi per la Società Ecology Green, pure indicata come preposta allo stoccaggio provvisorio, ma non in possesso di idoneo titolo; infine in sede giurisdizionale, e solo in tale sede viene indicato come impianto in grado di assolvere al compito quello della Società Bicamis. Ne deriva che in concreto non si sono forniti elementi idonei a far ritenere che le condizioni tecniche necessarie per il riuso del fresato d’asfalto nel processo siano pienamente soddisfatte; e questo non senza considerare che l’operazione di recupero deve avvenire in loco, senza necessità di stoccaggio o deposito, modalità operativa che nella specie non è possibile rilevare come sussistente. Se così è, la valutazione negativa data dalla Commissione in sede di verifica di anomalia appare fondata, non risultando ragionevolmente accoglibili le giustificazioni di CISAF dirette ad affermare l’esistenza di un minor costo per il mancato conferimento in discarica del prodotto proveniente dalla demolizione del manto d’asfalto e non risultando contestualmente convincenti le modalità di riuso del fresato d’asfalto, sicché non è possibile fondatamente invocare, da parte di CISAF, l’espunzione di tale voce di spesa. Parte appellante inoltre deduce altri due ordini di doglianze, così riassumibili:

a) sarebbe stata posta in essere da parte di ANAS una sorta di disparità di trattamento in relazione all’impresa ICMB, che relativamente alla questione del fresato d’asfalto si porrebbe nella stessa posizione dell’appellante; b) il provvedimento espulsivo è insufficientemente e comunque contraddittoriamente motivato; e la stazione appaltante avrebbe omesso di attivare una necessaria attività di interlocuzione con la Società appellante, che avrebbe consentito alla medesima di offrire adeguate spiegazioni e giustificazioni. I dedotti profili di censura sono infondati. Quanto al punto a), si tratta solo di una indimostrata ipotesi di condivisione di una tesi interpretativa sulla problematica “fresato d’asfalto” che ICMB avrebbe avuto modo di esprimere, circostanza che non ha alcuna valenza in ordine ad un procedimento di verifica dell’anomalia che è stato attivato unicamente per CISAF e senza che l’Amministrazione abbia assunto al riguardo una quale che sia determinazione nei confronti della Impresa contro-interessata. Relativamente poi al punto b), è d’uopo osservare che l’espulsione dalla gara è avvenuta a seguito del giudizio negativo reso sulle giustificazioni richieste in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta che si atteggia, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato Sez. III 19/7/2013 n.4408) come una valutazione tecnica latamente discrezionale, senza che in essa siano ravvisabili profili di illogicità o sviamento, sì che del tutto inconfigurabili si rivelano i dedotti profili di illegittimità. In relazione al secondo aspetto di doglianza parte appellante opera poi una singolare mutazione della tipologia dei procedimenti, nel senso che con la (infondata) denuncia di omessa interlocuzione si pretende, inammissibilmente, di trasformare la verifica dell’anomalia in una sorta di soccorso istruttorio ex post, istituto che nella predetta sede procedimentale di verifica non appare applicabile, pena la compromissione del principio della immutabilità dell’offerta (Cons. Stato Sez. V 29 aprile 2014 n. 4372). In forza delle sue stese considerazioni l’appello, in quanto infondato, va respinto, con conferma dell’impugnata sentenza, con la precisazione che ogni altra doglianza dedotta e/o adombrata deve considerarsi assorbita e comunque non idonea a produrre un esito diverso da quello qui assunto.

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Attività di fatto come imputabilità ex art. 256, comma 2, del D. Lgs 152/2006

Secondo la sentenza numero 47662, della Corte di Cassazione, Sezione III, il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2:

“2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.”

è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’ambito di una attività economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell’attività medesima, così dovendosi intendere il “titolare di impresa o responsabile di ente” menzionato dalla norma. L’individuazione in concreto dell’attività imprenditoriale di fatto è valutazione di merito che compete al giudice della cognizione che, a tal fine, potrà e dovrà tener conto di elementi rivelatori della stessa quali: a) l’utilizzo di mezzi e modalità che eccedano quelli normalmente nella disponibilità del privato; b) la natura e la provenienza dei materiali; c) la quantità e qualità dei soggetti che hanno posto in essere la condotta.

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Stabellamento di uno scarico contenente sostanze pericolose

Durante un controllo dell’ARPA, competente per territorio, su un impianto di trattamento di acque reflue industriali, viene rilevato lo “sforamento” del limite del parametro zinco (1,1 mg/L). Il problema è rientrato in poche ore senza nessun danno al ricettore. Nei precedenti controlli ARPA e autocontrolli lo scarico è sempre risultato in regola. Il gestore si giustifica affermando che il problema sia riconducibile ad un guasto di una sonda o ad uno sversamento accidentale. Atteso che è stata presentata una denuncia, la linea difensiva del caso fortuito supportata da idonee motivazioni potrebbe avere successo?? In genere, per il caso fortuito, esso va escluso quando la causa è riconducibile ad eventi prevedibili e prevenibili e, sul punto, c’è parecchia giurisprudenza ben riassunta nella Sentenza della III Sez. della Cassazione n. 24333 del 10/06/2014. Sostenere comunque tale tesi, ovvero quella del guasto accidentale, se effettivamente con questa “scusa” non si vuole coprire un comportamento doloso magari finalizzato a conseguire vantaggio economico, ottenibile per esempio mediante risparmio di chemicals o energia elettrica, potrebbe essere utile per evitare di far incorrere la persona giuridica nelle sanzioni previste dal D. Lgs 231/2001 (lo stabellamento di uno scarico contenente sostanze pericolose è infatti un c.d. “reato presupposto”)…

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Può un Comune affidare con gare, che lo stesso indice, la bonifica e smaltimento di rifiuti abbandonati tra cui anche rifiuti in cemento amianto?

Per quale motivo il comune dovrebbe avvalersi di un intermediario (che andrebbe pagato giustamente) quando la figura dell’intermediario non è obbligatoria.
Per lo smaltimento dei rifiuti la ditta potrebbe agire da “commerciale”: fa un’offerta vantaggiosa al Comune, compresa di raccolta e trasporto e trova il sito di smaltimento e accetta!

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Ripetita Juvant

I Comuni,negli ultimi tempi, in maniera sempre più crescente, per garantire un migliore servizio all’utenza in materia di corretto conferimento dei rifiuti e tutela del territorio, stanno prevedendo nell’ ambito dei propri “Regolamenti comunali” di affiancare all’azione di contrasto degli abbandoni illeciti e controllo sulle modalità della raccolta differenziata, svolta dai Corpi di Polizia Municipale e dalle altre forze dell’ordine, una nuova figura quale quella dell’Ispettore Ambientale Comunale.
Nella mia ultra decennale esperienza di formatore, con ormai, ahimè, centinaia di ore di lezioni dedicate alla creazione di, non so più quanti, Ispettori Ambientali Volontari disseminati un po’ in tutto lo stivale, posso sicuramente esprimere la mia soddisfazione e compiacimento per l’importante compito che svolge la GAV,in ambito alla tutela ambientale e decoro cittadino, anche se, a volte, un servizio improvvisato di GAV non fa altro che peggiorare lo stato delle cose. In effetti è impensabile di poter risolvere il problema sbattendo per strada un esercito di volontari, il più delle volte vestiti alla RAMBO, e armati solo di buone intenzioni. Per poter istituire in modo efficace la GAV e trarre i benefici dalla propria attività è necessario che a monte sia prevista un buona formazione degli addetti con una ottima comunicazione rivolta all’utenza ed assicurare soprattutto un costante coordinamento del servizio da parte delle istituzioni, in ultimo va precisato che, a parere di chi scrive, le GAV possono essere d’ausilio alle polizie locali ma non possono essere considerate delle sostitute. Per un efficace intervento è sempre necessario che dietro al volontariato ci sia tutta l’autorevolezza delle istituzioni, la capacità di coordinare il servizio, gestire le procedure sanzionatorie e l’inevitabile contenzioso che ne deriva con l’utenza. Il rapporto che lega la Guardia Ambientale con l’Ente può essere in base volontaria, se svolto da personale che non ha rapporti di dipendenza es. associazioni ambientaliste o se vogliamo volontari Comunali, o può essere svolto dai dipendenti comunali o dipendenti di società servizi di gestione RR.SS.UU. e quindi, in questo caso, in regime di subordinazione gerarchico funzionale all’interno del rapporto di lavoro previsto.
In realtà, gli Enti, possono stabilire che l’attività degli interventi ispettivi e di controllo, ai fini della corretta osservanza delle norme e disposizioni contenute nello stesso e nelle ordinanze sindacali in materia e l’applicazione delle sanzioni in esse previste, spettano, oltre che alla Polizia Municipale, ai dipendenti Comunali, ai dipendenti della ditta gestore del servizio, a personale appartenente ad associazioni di volontariato, appositamente nominati “Ispettori ambientali” con provvedimento del Sindaco. L’Ispettore Ambientale Volontario Comunale può proficuamente svolgere, all’intero territorio comunale, attività informative ed educative ai cittadini sulle modalità e sul corretto conferimento dei rifiuti incentivando la raccolta differenziata il riciclo e la riduzione dei rifiuti. In questo senso si è dimostrato di riuscire a svolgere valida opera di prevenzione nei confronti di quegli utenti che, con comportamenti irrispettosi del vivere civile, arrecano danno all’ambiente, all’immagine e al decoro della città. In realtà, l’azione di maggior peso che assume riguarda l’attività di supporto agli organi preposti ai controlli, in quanto la GAV, previamente munito di apposito decreto sindacale di nomina quale agente accertatore, può svolgere le funzioni di vigilanza, di controllo e di accertamento con capacità di sanzionare le violazione ai regolamenti comunali e alle ordinanze sindacali relative, in via esclusiva, al deposito, gestione, raccolta e smaltimento dei rifiuti di spettanza regolamentare del Comune, concorrendo alla difesa del suolo, del paesaggio ed alla tutela dell’ambiente. Gli Enti per poter avvalersi di dette specifiche funzioni devono prevedere un’adeguata formazione degli addetti, quindi, devono necessariamente organizzare un corso di formazione specifico in materia di tutela del territorio, gestione dei rifiuti, disposizioni in materia di regolamenti e ordinanze del Comune,nonché in materia sanzionatoria e in particolare l’analisi delle disposizioni contenute nella legge 689/1981 senza tralasciare le tecniche di comunicazione. Il Sindaco,quindi, potrà nominare gli ispettori ambientali volontari comunali, con proprio decreto motivato, tra i candidati reputati idonei e che abbiano appunto,superato, dopo la partecipazione di uno specifico corso di formazione, l’ esame finale. L’Ispettore ambientale volontario comunale in sede di accertamento di violazioni ai regolamenti e/o ordinanze sindacali riguardanti la tutela ambientale redige gli atti previsti dalle vigenti disposizioni di Legge ( artt. 13 e 14 legge 689/ 1981) atti di accertamento e contestazione . I volontari durante lo svolgimento della loro attività sono Pubblici Ufficiali ai sensi dell’art 357 c.p e svolgono funzioni di polizia amministrativa ed esercitano i relativi poteri di accertamento giusto art. 13 legge 24 novembre 1981 n. 689. Le modalità di intervento e gestione delle procedure sanzionatorie delle GAV devono essere svolte in sintonia con l’attività del Corpo di Polizia Locale che dovrà esercita il controllo e il coordinamento del servizio gestendo le procedure in materia di Sanzioni Amministrative di cui alla legge 689 /81. In molti casi si è sollevata polemica in merito agli interventi sanzionatori dell’agente accertatore in materia ambientale da parte delle guardie ambientali Comunali, in particolare se costoro possono legittimamente accertare e contestare direttamente le infrazioni. Ritengo che queste polemiche sono plausibili quando arrivano dagli utenti trasgressori, ma non possono essere accettate se provengono da operatori di polizia, la risposta logicamente è si l’intervento sanzionatorio è assolutamente legittimo se operato nei limiti e nelle previsioni di legge. I Comuni, per assicurare il corretto conferimento dei rifiuti, possono, con propri regolamenti e/o Ordinanze imporre obblighi e divieti e stabilire sanzioni nei casi di violazione secondo quanto previsto dall’art 7 bis del Testo Unico Enti Locali D.lgs 267/20001, ai sensi di tale disposizione i possono incamerare i relativi proventi. Con tali provvedimenti gli enti interessati possono, ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 689/1981, procedere al conferimento di funzioni di addetti al controllo (altri dipendenti dell’Ente o del soggetto gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti, volontari ecc.). In certe realtà della nostra Italia, martoriate da anni per assenza di politiche ambientali e cattiva gestione dei rifiuti,l’impiego massiccio anche dei volontari sicuramente potrà contribuire alla tutela del territorio per garantire a tutti il diritto a vivere in ambiente decoroso e non più sommersi dai rifiuti.

Dott. Giuseppe Aiello, Comandante Polizia Municipale di Lioni

1) D.lgs 267/00 Articolo 7-bis (1) Sanzioni amministrative 1. Salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro. 1-bis. La sanzione amministrativa di cui al comma 1 si applica anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal sindaco e dal presidente della provincia sulla base di disposizioni di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari. (2) 2. L’organo competente a irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689. 1) Articolo inserito dalla Legge 16 gennaio 2003, n. 3. 2) Comma inserito dal D.L. 31 marzo 2003, n. 50.

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Individuazione di una discarica abusiva e relativa cessazione della permanenza del reato.

Ai fini dell’integrazione del reato di gestione di discarica non autorizzata, rientrano nella nozione di gestione anche la fase post-operativa, successiva alla chiusura, e di ripristino ambientale derivandone che la permanenza del reato previsto dall’art. 256, comma terzo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (segue…..):

Art. 256

Attività di gestione di rifiuti non autorizzata

1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: (comma così modificato dall’art. 11, comma 3, d.lgs. n. 46 del 2014)a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;

b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.

3. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro 5.200 a euro 52.000 se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi. (comma così modificato dall’art. 11, comma 3, d.lgs. n. 46 del 2014)

4. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.

5. Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).

6. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b), è punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.600 euro a 15.500 euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti.

7. Chiunque viola gli obblighi di cui agli articoli 231, commi 7, 8 e 9, 233, commi 12 e 13, e 234, comma 14, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 260 euro a 1.550 euro.

8. I soggetti di cui agli articoli 233, 234, 235 e 236 che non adempiono agli obblighi di partecipazione ivi previsti sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 8.000 euro a 45.000 euro, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi. Sino all’adozione del decreto di cui all’articolo 234, comma 2, le sanzioni di cui al presente comma non sono applicabili ai soggetti di cui al medesimo articolo 234.

9 Le sanzioni di cui al comma 8 sono ridotte della metà nel caso di adesione effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine per adempiere agli obblighi di partecipazione previsti dagli articoli 233, 234, 235 e 236.

(…….segue)per la gestione abusiva o irregolare della fase post-operativa di una discarica, cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per il rilascio dell’autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado.

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Trasporto illecito di rifiuti e confisca del mezzo nel caso di accertamento

Ove la condotta sanzionata dall’art. 6 del D.L. n. 172 del 2008:

Art. 6
Disciplina sanzionatoria

1. Nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore
dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della legge 24
febbraio 1992, n. 225:
a) chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati
abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette
nelle acque superficiali o sotterranee rifiuti pericolosi, speciali
ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno
0.5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza,
lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri, e’ punito con
la reclusione fino a tre anni e sei mesi; se l’abbandono, lo
sversamento, il deposito o l’immissione nelle acque superficiali o
sotterranee riguarda rifiuti diversi, si applica la sanzione
amministrativa pecuniaria da cento euro a seicento euro;
b) i titolari di imprese ed i responsabili di enti che
abbandonano, scaricano o depositano sul suolo o nel sottosuolo in
modo incontrollato e presso siti non autorizzati i rifiuti, ovvero li
immettono nelle acque superficiali o sotterranee, sono puniti con la
reclusione da tre mesi a quattro anni se si tratta di rifiuti non
pericolosi e con la reclusione da sei mesi a cinque anni se si tratta
di rifiuti pericolosi;
c) se i fatti di cui alla lettera b) sono posti in essere con
colpa, il responsabile e’ punito con l’arresto da un mese ad otto
mesi se si tratta di rifiuti non pericolosi e con l’arresto da sei
mesi a un anno se si tratta di rifiuti pericolosi;
d) chiunque effettua una attivita’ di raccolta, trasporto,
recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in
mancanza dell’autorizzazione, iscrizione o comunicazione prescritte
dalla normativa vigente e’ punito:
1) con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni,
nonche’ con la multa da diecimila euro a trentamila euro se si tratta
di rifiuti non pericolosi;
2) con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la
multa da quindicimila euro a cinquantamila euro se si tratta di
rifiuti pericolosi;
e) chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata e’
punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni e con la
multa da ventimila euro a sessantamila euro. Si applica la pena della
reclusione da due a sette anni e della multa da cinquantamila euro a
centomila euro se la discarica e’ destinata, anche in parte, allo
smaltimento di rifiuti pericolosi; alla sentenza di condanna o alla
sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 444 del codice di
procedura penale consegue la confisca dell’area sulla quale e’
realizzata la discarica abusiva se di proprieta’ dell’autore del
reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello
stato dei luoghi;
f) le pene di cui alle lettere b), c), d) ed e) sono ridotte
della meta’ nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni
contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonche’ nelle ipotesi di
carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni
o comunicazioni;
g) chiunque effettua attivita’ di miscelazione di categorie
diverse di rifiuti pericolosi di cui all’allegato G della parte IV
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero rifiuti
pericolosi con rifiuti non pericolosi, e’ punito con la pena di cui
alla lettera d), numero 2), o, se il fatto e’ commesso per colpa, con
l’arresto da sei mesi a un anno;
h) chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di
produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle
disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15
luglio 2003, n. 254, e’ punito con la pena della reclusione da sei
mesi a tre anni e con la multa da diecimila euro a quarantamila euro,
ovvero con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno se il fatto e’
commesso per colpa. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria
da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro per i
quantitativi non superiori a duecento litri o quantita’ equivalenti.
si sovrapponga a quella indicata dall’art. 256 o dall’art. 258, comma 4 D.Igs 152/06:

256. Attività di gestione di rifiuti non autorizzata

1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:(comma così modificato dall’art. 11, comma 3, d.lgs. n. 46 del 2014)

a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.

3. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro 5.200 a euro 52.000 se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.(comma così modificato dall’art. 11, comma 3, d.lgs. n. 46 del 2014)

4. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.

5. Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).

6. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b), è punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.600 euro a 15.500 euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti.

7. Chiunque viola gli obblighi di cui agli articoli 231, commi 7, 8 e 9, 233, commi 12 e 13, e 234, comma 14, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 260 euro a 1.550 euro.

8. I soggetti di cui agli articoli 233, 234, 235 e 236 che non adempiono agli obblighi di partecipazione ivi previsti sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 8.000 euro a 45.000 euro, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi. Sino all’adozione del decreto di cui all’articolo 234, comma 2, le sanzioni di cui al presente comma non sono applicabili ai soggetti di cui al medesimo articolo 234.

9 Le sanzioni di cui al comma 8 sono ridotte della metà nel caso di adesione effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine per adempiere agli obblighi di partecipazione previsti dagli articoli 233, 234, 235 e 236.

256-bis. Combustione illecita di rifiuti (articolo introdotto dall’art. 3, comma 1, legge n. 6 del 2014)

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al
ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica.

2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti.

3. La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

4. La pena è aumentata di un terzo se il fatto di cui al comma 1 è commesso in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225.

5. I mezzi utilizzati per il trasporto di rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 del presente articolo, inceneriti in aree o in impianti non autorizzati, sono confiscati ai sensi dell’articolo 259, comma 2, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea alle condotte di cui al citato comma 1 del presente articolo e che non si configuri concorso di persona nella commissione del reato. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell’area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell’autore o del concorrente nel reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.

6. Si applicano le sanzioni di cui all’articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e). Fermo restando quanto previsto dall’articolo 182, comma 6-bis, le disposizioni del presente articolo non si applicano all’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato.(comma così modificato dall’art. 14, comma 8, legge n. 116 del 2014)

258. Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari(articolo così modificato dall’art. 35 del d.lgs. n. 205 del 2010)

1. I soggetti di cui all’articolo 190, comma 1, che non abbiano aderito al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), e che omettano di tenere ovvero tengano in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui al medesimo articolo, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro.

2. I produttori di rifiuti pericolosi che non sono inquadrati in un’organizzazione di ente o di impresa che non adempiano all’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico con le modalità di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 25 gennaio 2006, n. 29, e all’articolo 6, comma 1 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 2010, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da quindicimilacinquecento euro a novantatremila euro.

3. Nel caso di imprese che occupino un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti, le misure minime e massime di cui al comma 1 sono ridotte rispettivamente da 1.040 euro a 6.200 euro. Il numero di unità lavorative è calcolato con riferimento al numero di dipendenti occupati mediamente a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue; ai predetti fini l’anno da prendere in considerazione è quello dell’ultimo esercizio contabile approvato, precedente il momento di accertamento dell’infrazione.

4. Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto.

5. Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 260 euro a 1.550 euro. La stessa pena si applica se le indicazioni di cui al comma 4 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengono tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, nonché nei casi di mancato invio alle autorità competenti e di mancata conservazione dei registri di cui all’articolo 190, comma 1, o del formulario di cui all’articolo 193 da parte dei soggetti obbligati.

5-bis. I soggetti di cui all’articolo 220, comma 2, che non effettuino la comunicazione ivi prescritta ovvero la effettuino in modo incompleto o inesatto sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro; se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da ventisei euro a centosessanta euro.

5-ter. Il sindaco del comune che non effettui la comunicazione di cui all’articolo 189, comma 3, ovvero la effettui in modo incompleto o inesatto, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro; se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da ventisei euro a centosessanta euro.
poiché per queste ultime l’art. 259 dello stesso testo unico prevede che la confisca debba trovare applicazione anche nel caso di patteggiamento, tale disposizione dovrà operare anche con riferimento al più grave reato indicato dall’art. 6.
Diversamente la confisca – nei casi indicati dall’art. 6 – potrà seguire solo alla sentenza di condanna.

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